18/06/2021

A fine maggio si è concluso con un nulla di fatto il “jumbo trilogo” che avrebbe dovuto portare ad una intesa politica di massima sulla riforma della Politica Agricola Comune, in pratica sui regolamenti che disciplineranno dal 2023 in avanti pagamenti diretti, misure di mercato e sviluppo rurale.

A tre anni quindi dalle proposte di revisione ufficializzate dalla Commissione europea, è mancato quell’accordo tra Parlamento, Consiglio e Commissione che la presidenza di turno auspicava e che ora potrebbe essere raggiunto durante il prossimo Consiglio dei Ministri previsto per il mese di giugno, l’ultimo della presidenza portoghese.

Uno dei nodi principali, ancora irrisolto, è quello che riguarda il finanziamento degli ecoschemi, quell’insieme di pratiche, facenti parte dell’architettura verde della riforma che gli imprenditori agricoli potranno attuare in maniera volontaria al fine di favorire la sostenibilità ambientale.

Sulla questione la presidenza del Consiglio aveva avanzato una proposta di mediazione, proponendo un 23% di finanziamento per i primi due anni e un 25% a partire dal 2025.

Un altro nodo da sciogliere è la “redistribuzione” degli aiuti, cioè il meccanismo che prevede di limitare gli aiuti alle aziende più grandi per aumentare gli interventi destinati a quelle più piccole.

Infine, altro punto di disaccordo è la “condizionalità sociale”, cioè la riduzione degli aiuti nel caso di violazione dei diritti dei lavoratori. Gli Stati sono divisi tra Nord e Est Europa da un lato e Sud dall’altro. Secondo Germania e Paesi nordici le politiche sociali non c’entrano nulla con la Pac. L’Italia invece appoggia un compromesso che tenga «in considerazione i diritti

dei lavoratori e degli agricoltori».  I negoziati tra Parlamento, Consiglio e Commissione sono in corso ed esiste la possibilità che si concludano con un accordo politico entro il mese di giugno.