16/07/2022

Il presidente Ballani e la consigliera regionale Cestari in visita nelle aziende agricole che contano perdite quasi totali del prodotto. “Servono ristori urgenti, molti chiuderanno con i bilanci in rosso. Senza irrigazioni si cambieranno colture” 

Rovigo, 12 luglio 2022 – Dopo il riso del Delta del Po, in grande sofferenza per la mancanza d’acqua, il Polesine chiuderà questa rovente estate con enormi perdite per due prodotti simbolo del territorio: l’aglio e il mais. Ieri Lauro Ballani, presidente di Confagricoltura Rovigo, il direttore dell’associazione Massimo Chiarelli e la consigliera regionale Laura Cestari hanno fatto un sopralluogo nel Medio Polesine nelle aziende agricole per toccare con mano gli effetti della siccità. Da Polesella a Frassinelle e Arquà Polesine il colpo è d’occhio è desolante: il mais è ingiallito e verrà trinciato per essere mandato negli impianti a biomasse, mentre l’aglio, senz’acqua, non è cresciuto e le perdite supereranno il 50%.  

I fratelli Rizzato hanno tre diverse aziende tra Frassinelle e Polesella. Coltivano mais, barbabietola e soia in rotazione, oltre a dieci ettari di aglio. Roberto Rizzato mostra l’aglio, un’eccellenza che corrisponde a 400 ettari coltivati in tutta la provincia, pari all’85% della produzione veneta. “Facevamo 10 quintali di aglio, ma quest’anno ne porteremo a casa tre o quattro – spiega -. I bulbi sono piccolissimi, perché senza pioggia non si sono sviluppati. Valevano 285 euro al quintale, ma l’industria ci ha già detto che ce li pagherà meno, quando dovremmo prendere di più perché i costi sono triplicati. Siamo alla quarta generazione, la mia famiglia ha sempre fatto aglio. Ma penso che questo sarà l’ultimo anno. Un’altra annata così, senza reddito, non possiamo permettercela, perché dovremmo vendere i beni di famiglia per sopravvivere”. 

Passa Enrico Suriani, produttore e commerciante di aglio bianco polesano dop con sede a Rovigo, che vende a grossisti e grande distribuzione: “Tutto l’aglio del territorio è in sofferenza ed evidenzia calibri piccoli. Si fatica a venderlo anche perché è un momento difficile sul mercato europeo e mondiale: ci sono troppe giacenze in frigo a causa del calo dei consumi, perciò la domanda è bassa”.  

Stefano Rizzato ha enormi distese di mais. Tutto giallo. Le pannocchie non si sono sviluppate: sono meno della metà e, al posto delle 700 cariossidi prodotte in annate normali, se ne contano una cinquantina. I trattori nei campi stanno trinciando tutto: “Non c’è più niente da salvare. Manderemo tutto al digestore di Guarda Veneta, che produce biogas. E questo significa che prenderemo 280 euro all'ettaro quando le altre stagioni prendevamo 3.000 euro all'ettaro per il trinciato. Solo il seme costa 250 euro. Come facciamo a starci dentro? Ho 57 anni, è l’annata peggiore della mia vita e so già che non farò più aglio, ma non so neanche cosa farò con il mais, perché dicono che le prossime estati saranno tutte come questa. Ho già perso il 40 per cento di grano e vedo male anche le barbabietole da zucchero. Cosa faremo? Pianteremo solo le colture autunno-vernine, che si raccolgono prima dell’estate? Una cosa è certa: non ci è mai successo di irrigare incessantemente per quattro mesi. E non potremo più farlo, perché, con i prezzi del gasolio saliti da 0,75 euro al litro a 1,40, non è economicamente sostenibile”. 

Qualche chilometro più in là, ad Arquà Polesine, c’è l’azienda di Giorgio e Amedeo Rizzi. Dieci ettari di grano, che si sviluppano attorno a una villa veneta, con perdite del 50 per cento e dieci ettari di mais con perdite dell’80%. “Qui non faremo più granoturco – scandisce Giorgio -. L’acqua non arriva, quindi con estati come questa è impensabile continuare con questa coltura. La trebbiatura costa più di quanto si guadagna con la resa, perciò conviene trinciare, che peraltro ha un costo pure quello”. 

La provincia di Rovigo rischia di perdere migliaia di ettari di mais, dopo che già l’anno scorso ha visto un calo del 5,6% della coltura scendendo a 27.600 ettari. Il che significa meno mais ceroso destinato a foraggio per gli animali. “Stiamo perdendo tutti i produttori di aglio e cominciamo a perdere anche quelli di mais – dice Lauro Ballani -. La qualità del trinciato è bassa e la zootecnia ne risente. Le quotazioni dei cereali stanno precipitando: quindi produciamo poco, prendiamo meno e spendiamo tanto. La frutta è scomparsa quasi tutta, basti pensare alle pere, che erano il fiore all’occhiello del polesine e del Ferrarese. La poca rimasta ha pezzature così piccole da risultare invendibile. I prezzi del gasolio sono alle stelle e non possiamo irrigare. I tecnici ci dicono di lasciare metà dei raccolti nel campo. Le nostre aziende agricole sono in ginocchio. Bene lo stato d’emergenza, ma bisogna riempirlo di risorse, da assegnare alle imprese che hanno davvero necessità per lavorare e investire. Di fronte a scenari sempre più torridi e siccitosi dobbiamo capire come intervenire e cosa fare in futuro. Per il Po servirebbe un generale Figliuolo che decida il da farsi: servono altre barriere anti sale? O è meglio garantire un flusso minimo per mantenere il cuneo a mare? Anche con i consorzi bisognerà studiare un regolamento irriguo, per evitare perdite. E poi bisogna fare ricerca, andare avanti con le biotecnologie. Ci sono mais a basso consumo idrico, dobbiamo superare i pregiudizi ideologici e guardare alle migliori soluzioni per produrre cibo”. 

La consigliera regionale Laura Cestari è profondamente colpita: “Visitare direttamente le nostre aziende agricole ci ha dato la possibilità di conoscere in maniera ancor più concreta quella che è la teoria che tutti conosciamo, cioè che la siccità ha impattato in maniera veramente pesante sul nostro territorio, che abbiamo sempre detto essere il granaio del Veneto. Sono a disposizione per fare da filtro con i miei colleghi d’aula e per portare le istanze del territorio in Regione e anche all’assessore Caner, che è già al lavoro da tempo da tempo, da mesi, non solo per agire rispetto alla fase di emergenza ma anche per avere una strategia complessiva. Uno scenario del genere un anno fa nessuno l’avrebbe previsto: stride il fatto che si dovrebbe ripartire con una produzione nostra, anche per via della guerra in Ucraina e con il fatto che le materie prime faticano ad arrivare: abbiamo bisogno di renderci autonomi, ma quest’esigenza cozza con certe condizioni meteorologiche estreme e con questa siccità che non ci permette di farlo. Vivo in Alto Polesine e conosco il quadro del Delta ma ora, avendo visto di persona, sul campo, come vanno le cose nel Medio Polesine tutto mi è più chiaro. Occorre agire in sinergia con le associazioni di categoria per portare a casa un risultato, che però deve esser prima di tutto a livello nazionale”.